Resilienza significato: occhio al burnout

Un dipendente su quattro ha sperimentato alti livelli di comportamento tossico sul posto di lavoro. Potresti pensare che la cultura tossica sia un problema che non ti riguarda, purtroppo è invece molto diffusa: esistono sacche di tossicità anche nelle culture aziendali considerate sane.

Un recente studio condotto dal McKinsey Health Institute su oltre 15.000 dipendenti ha rilevato che una persona su quattro presenta sintomi del burnout. Tra i motivi, la prima causa di malessere è una cultura del lavoro tossica. Un ambiente non inclusivo e abusivo, irrispettoso e poco etico, che spinge le persone ad andarsene. La cultura di un’organizzazione è infatti uno dei maggiori predittori del tasso di dimissioni, dieci volte più predittivo del compenso.

La salute mentale oggi non riguarda più solamente tutta una serie di disturbi psichici, come depressione e ansia, ma va a toccare ambiti di soddisfazione della propria vita. Quindi un concetto più ampio di benessere legato allo star bene, al sentirsi contenti e all’essere appagati da ciò che si fa. Se da una parte fa stare bene svolgere un lavoro percepito come significativo, ben remunerato e dove ci si sente supportati, dall’altra è proprio sul luogo di lavoro che si vengono a creare situazioni tossiche.

Ma come affrontare concretamente questo problema?

Un dato interessante è che i tassi di burnout continuano ad aumentare nonostante molte organizzazioni si impegnino su questo fronte cercando di trovare modi per supportare i dipendenti.

Dalla ricerca di McKinsey è emerso che una delle azioni efficaci sta nel formare i manager sulla salute mentale con abilità pratiche per parlare di salute mentale o su come capire quando un lavoratore è in difficoltà.

Tuttavia, uno degli errori che a volte si commette quando si parla di salute mentale sul posto di lavoro è che sembra riguardare solamente l’addestramento alla resilienza dei dipendenti.

Il focus oggi è infatti mirato a costruire una forza lavoro mentalmente resiliente quando invece andrebbero affrontati i problemi “prima” a livello organizzativo, lavorando sull’ecosistema aziendale. Dire ai singoli dipendenti che devono essere più resilienti, significa scaricare le responsabilità solamente su di loro. Della serie “devi fare questo corso per aumentare la tua resilienza, ma non abbiamo bisogno di cambiare nulla”.

Chi ha riferito di aver sperimentato alti livelli di comportamento tossico aveva otto volte più probabilità di sperimentare il burnout. Questi dipendenti erano anche sei volte più propensi a lasciare il posto di lavoro nei prossimi mesi. Va pertanto creata una resilienza organizzativa, progettando luoghi di lavoro, modelli operativi e culturali orientati al benessere mentale 365 giorni l’anno.

Come? Iniziando a destigmatizzare i problemi di salute mentale.

I datori di lavoro dovrebbero fare un passo indietro e riflettere sul proprio ambiente di lavoro, smettendo di considerare il burnout un’esperienza puramente individuale, qualcosa che una persona può risolvere e migliorare da sola.

Anche perché dovrebbero capire che il burnout non crea problemi solo a chi ne soffre ma ha dei costi anche per l’organizzazione: dipendenti insoddisfatti e demotivati significano minore produttività, senza contare il costo di sostituire una risorsa che se ne va.

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