People Pleasing e l'ossessione di piacere

L’ossessione di piacere agli altri ha un nome, si chiama people pleasing.

Tutti quanti abbiamo sperimentato la necessità dell’approvazione altrui. E fin qui non c’è niente di male. Il problema nasce quando questo bisogno è continuo e persistente fino al punto di non riuscire ad affermare sé stessi per compiacere gli altri. La dipendenza dal giudizio altrui diventa così un atteggiamento disfunzionale che porta a manie di perfezionismo, all’essere sempre accondiscendenti e autocontrollati, a una paura esagerata di commettere errori e non essere accettati, seguendo passivamente idee e comportamenti degli altri. Situazioni in cui è facile ritrovarsi, sia nella vita sociale che al lavoro.

L’avvento del digitale e il rapido evolversi delle tecnologie hanno profondamente cambiato la rappresentazione di noi stessi verso il mondo, plasmando in modo spesso artificioso l’immagine che vogliamo mostrare al mondo.

È la spettacolarizzazione delle nostre vite, immaginarie s’intende. Nei social le persone tendono a mistificare la realtà per raggiungere il massimo grado di approvazione degli altri. Lo aveva già intuito negli anni ’80 quel genio di Guy Debord ne “La società dello spettacolo”, un testo oggi considerato un cult che è riuscito a descrivere in maniera illuminante il predominio delle immagini mediatiche sulla realtà, sempre più tendenti alle gioie dell’apparire, piuttosto che dell’essere.

“Lo spettatore più contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la propria esistenza e il proprio desiderio.”

Nei giorni scorsi si è parlato molto di “people pleasing”, ovvero quel fenomeno riguardante l’ossessione di piacere agli altri a tutti i costi. Un atteggiamento che alla lunga porta ad un annichilimento delle proprie inclinazioni personali per assumere comportamenti che possano piacere agli altri.

L’essere sempre up o ricorrere a discorsi superficiali per non assumere posizioni ambigue, controcorrente, sono tutti atteggiamenti che sedano il linguaggio e, di conseguenza, anche la persona (che cercherà in tutti i modi di nascondere la sua vera natura per mostrare agli altri una versione di sé ritenuta più “accettabile”).

Ossessionati da un ideale di perfezione e dall’impossibilità di deludere. Sia professionalmente, finendo così per ammazzarsi di lavoro e dire sempre di sì con l’unico scopo di “meritare” la propria posizione, sia nelle relazioni personali, reprimendo la propria natura e volontà, in una schiavitù mentale che logora.

È il Nuovo Mondo della società facciale. La maggior parte della gente rimane sbalordita se non fai le vacanze o se non ti mostri sorridente sui social. Insomma l’unica cosa che la gente nota è questa “stranezza social(e)”, ritenuta come qualcosa di riprovevole. Si finisce così per recitare una parte che non ci appartiene, negando quotidianamente i propri bisogni e idee a tal punto da soffrire psicologicamente e fisicamente pur di essere accettati. Possono essere tanti i sintomi del people pleasing, dagli attacchi di ansia agli sfoghi cutanei per il troppo stress.

L’approvazione altrui è qualcosa di insito nell’essere umano, a maggior ragione nell’era dei social, dove la condivisione di immagini e contenuti è quasi un diktat, una facile porta di accesso alle gratificazioni del mondo esterno sempre alla portata. E qui entra pericolosamente in gioco il rischio di diventarne succubi, plasmando a dovere il proprio aspetto, la personalità e la vita intera per apparire desiderabili e “popolari”.

Il people pleasing non va quindi sottovalutato. Mettere ciò che pensano gli altri al centro della propria esistenza non è a costo zero. Piacere a tutti non è la strada per la felicità ma per l’autosvalutazione. Un sacrificio inutile e dannoso che fa perdere di vista i propri desideri e bisogni. Perché “il compito principale nella vita di ognuno è dare alla luce se stesso” (Erich Fromm). Il primo passo è quindi di tornare a focalizzare l’attenzione su noi stessi e non sul giudizio degli altri, soprattutto quando questo bisogno di approvazione diventa una dipendenza a discapito dell’affermazione della propria identità.

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