Lavorare meno lavorare tutti, lavorare meglio

Campeggia ormai un po’ ovunque, sui giornali, sui social, in TV, il tema delle aziende che decidono di lasciare libero il venerdì ai propri dipendenti. Un cambio di passo per tentare di adattarsi alla metamorfosi dei tempi. Una scelta ancora di pochi vissuta dalle altre aziende come un monito (o uno stimolo) per adottare metodi organizzativi diversi.

Un atteggiamento che cerca di dare più valore al tempo libero e che fa eco in diverse parti del mondo. Qualche settimana fa Londra ha annunciato di aver supportato il progetto firmato dal centro di ricerca Autonomy e dalla Ong 4 day week global, un test a cui aderiranno migliaia di lavoratori di settori e imprese diverse che daranno così il via alla sperimentazione più ampia al mondo sulla rimodulazione dell’orario lavorativo. Il test consiste nel lavorare un giorno in meno a settimana mantenendo lo stesso stipendio, al fine di analizzare l’effetto sulla produttività.

Nel 1988, Andrè Gorz, scrisse un libro dal titolo “Metamorfosi del lavoro”. Un saggio che auspicava la riduzione della durata del lavoro come possibile risoluzione alle conseguenze derivanti da un’eccessiva esposizione alla produzione. In altre parole, sosteneva che la mercatizzazione deve arrestarsi sulla soglia di ciò che è socialmente utile e sostenibile.

Il tema già allora diventava preminente perché l’inconscio sociale aveva iniziato ad animarsi attorno allo sforzo di massimizzare la produzione. La miccia per essere più produttivi era quella di agire sulla prestazione e quindi sulla motivazione. La motivazione ha però bisogno di gratificazione immediata. Se non la riceve l’uomo cade in uno stato depressivo, di inquietudine e insoddisfazione perenne.

In modo decisamente più sobrio lo stesso concetto è presentato da Michael Sandel in “Quello che i soldi non possono comprare”. La sua proposta è di liberarsi dalla seduzione dell’industrialismo (riconoscendo l’enorme liberazione di energie produttive resa possibile dalla tecnica, che porta a un lavoro non disponibile per tutti) per puntare su una “riduzione metodica, programmata, massiccia della durata del lavoro (senza ridurre il reddito)”.

Ciò ci conduce a uno dei grandi paradossi della nostra società. Ovvero, una porzione di società lavora mentre l’altra è assistita. L’extra-sforzo produttivo in alcune situazioni è legittimato (vedasi il mondo sales) perché le performance sono agganciate a premi di produzioni a scalare. Negli altri casi i premi aziendali non sono commisurati all’extra-sforzo lavorativo richiesto. In questa circostanza, il contraltare adottato diventa l’aspetto ludico, ossia il gioco come mantenimento della performance o dell’attaccamento aziendale (anziché investimenti orientati all’emancipazione personale e professionale del dipendente).

La diminuzione dell’orario lavorativo può diventare una pratica “buona e giusta” se affiancata anche ad una diminuzione della produttività – difficile da raggiungere in un sistema economico in cui non si fa un minimo accenno alla diminuzione di produzione.

Si ha quel retrogusto amaro che ancora una volta ci troveremo davanti all’ultima trovata di marketing nella quale con una mano ti tolgo un giorno, mentre con l’altra ti incito alla performance che rientra sull’andare avanti ad oltranza (ricordandosi di sorridere sempre alla vita, qualunque cosa accada). Forse non per tutti ma sicuramente per molti, perché il discorso è lungo, è una questione di cambio di mentalità, di cultura, di essere visionari oggi per vivere meglio domani.
Risuonano ancora le parole di Adriano Olivetti, che si chiedeva «Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?». Un Uomo che pensava la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica.

Sarebbe già un grande passo mantenere gli stessi orari lavorativi ma con un aggiustamento degli stipendi al costo della vita. Perché altrimenti una giornata in meno ma con ritmi doppi, assomiglia molto a un free time back, in cui invece di avere uno sconto in termini di maggior tempo libero da poter dedicare a me stesso, devo raddoppiare la mia produttività e dedicare il mio venerdì al completo riposo per un eccesso di performance.

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