Information overload: una testa piena di informazioni

Ci sono danni del Covid-19 che difficilmente scompariranno. Ferite di medio e lungo termine che hanno a che fare con il nostro benessere mentale, una condizione sempre più oscillante tra ansia e paura da un lato e rassegnazione dall’altro.

Il nostro quotidiano richiede sempre più velocità, efficienza, produttività, ottimizzazione. Sono queste le parole d’ordine della società moderna, che troppo spesso non contempla la possibilità sacrosanta di staccare la spina.

Il sociologo Manuel Castells in The Rise of the Network Society parla della Rete come “luogo” oltre che “mezzo” di comunicazione, definendola anche come forma organizzativa della società contemporanea. Siamo nel 1996, e già allora Castells affermava che l’informazione avrebbe giocato un ruolo chiave nel costruire nuove forme sociali basate su passioni e interessi specifici, piuttosto che su legami territoriali.

La network society ha determinato la nascita della comunicazione di massa per le masse, flessibile, adattabile, priva di confini. Una struttura senza centro, costruita sull’interattività, che ridefinisce i paradigmi delle dimensioni spazio-temporali. Una società iperconnessa e ipercomplessa che è, contemporaneamente, networking e networked. In altre parole attiva nel creare reti e passiva nell’esservi coinvolta. Un capitalismo informazionale il cui punto di forza sta nella figura precaria del lavoratore flessibile.

Oggi viviamo il rovescio della medaglia della società interconnessa. Il numero crescente di dati e il costante flusso di informazioni da gestire stanno provocando un effetto tossico che va ad impattare sul livello di stress, sulla soddisfazione personale di chi lavora (spesso senza un effettivo vantaggio per prestazioni e produttività). Questo è quanto messo in evidenza da una ricerca condotta su scala globale da 3Gem per conto di OpenText.

Qualche dato per capire meglio il fenomeno. Il sovraccarico di informazioni interessa il 36% dei professionisti italiani, praticamente il doppio rispetto al periodo pre-pandemico, dove solo il 16% degli italiani diceva di non riuscire a “staccare”: troppe password da ricordare, troppe app da gestire, una enorme quantità di fonti da controllare ogni giorno, a cui si aggiunge l’invadenza dei social media (segnalato nel 14% dei casi), la mancanza di strumenti digitali adatti per svolgere le proprie mansioni anche da remoto e la difficoltà a reperire le informazioni archiviate su diverse piattaforme.

Tutto ciò si traduce in una dispersione di tempo, dove a una sempre maggiore quantità di dati a disposizione non corrisponde un vantaggio informativo, con ripercussioni sulla produttività aziendale ma soprattutto sul benessere dei lavoratori. In questa indagine, il 43% dei professionisti italiani ritiene infatti che il sovraccarico cognitivo abbia conseguenze negative dal punto di vista fisico e mentale, con una compromissione del proprio equilibrio vita-lavoro.

Un altro dato preoccupante, emerso dalla Ricerca 2022 dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, è che soltanto il 9% dei lavoratori italiani dichiara di “stare bene” dal punto di vista fisico, sociale ed emotivo sul luogo di lavoro, lamentando la sensazione costante di essere sempre di fretta e in corsa contro il tempo. A cui si aggiungono ansia e stress legati al carico di lavoro o alle relazioni conflittuali con colleghi e responsabili.

Ci siamo ammalati di “information overload”, un termine che in psicologia definisce un sovraccarico di informazioni: non siamo più capaci di gestirle, di valutarle, di selezionarle, di capire quali siano affidabili e quali no. Siamo tutti portati a pensare che più informazioni avremo, più saremo liberi di scegliere. Il sovraccarico da informazioni, al contrario, ostacola il processo decisionale, generando due fenomeni. Il primo è la cosiddetta “ansia da informazione” (una condizione di stress prodotta dal non poter accedere a un’informazione o dal non riuscire a capirla oppure, pur comprendendola, dal non riuscire a farne un uso corretto); la persona colpita da “information anxiety” entra in un cortocircuito mentale e continua a domandarsi: le informazioni in mio possesso sono davvero quelle che contano? E se ce ne fossero altre più importanti? E sono sicuro di averle comprese bene? Se avessi nuove informazioni, la mia scelta cambierebbe?

Il secondo è la “sindrome da affaticamento informativo”. Succubi dell’information anxiety, le persone che si espongono a un eccesso di dati sperimentano, paradossalmente, un peggioramento della qualità delle loro decisioni. Perché alla fine preferiscono affidarsi del consiglio dell’amico, inesperto, che della scientificità delle troppe informazioni.

Forse è bene imparare a staccare la spina. «Rilassati, raccogliti, allontana da te ogni pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto» scrive Italo Calvino, lo scrittore che ci ha insegnato il valore della leggerezza.

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